Ma veniamo alla trama: la storia inizia nell’estate del 1981 (la stagione in cui si manifestarono i primi casi di diffusione del virus dell’HIV), dove troviamo il personaggio di Ned Weeks (Mark Ruffalo) scrittore newyorkese e attivista per i diritti dei gay. Ned, uomo risoluto, ostinato ed intransigente, assiste con angoscia ai primi casi di contagio e non esita ad allearsi con la coraggiosa dottoressa Emma Brookner (Julia Roberts), costretta sulla sedia a rotelle per aver contratto la poliomelite da bambina, al fine di avvertire la comunità gay del pericolo a cui è sottoposta. Il nucleo centrale di “The Normal Heart”, in effetti, è proprio la necessità di contribuire in prima persona a contrastare l’indifferenza – e quindi la totale mancanza di sostegno e di informazioni – da parte delle autorità nei confronti degli individui omosessuali, considerati (erroneamente) le uniche, potenziali vittime
di quello che venne bollato frettolosamente come “il cancro dei gay”. Ned Weeks diventa ben presto il simbolo di una coscienza civile nella quale si coagulano anche la rabbia e il senso di confusione e di impotenza di un’intera comunità, diventando così il perno di quell’associazione di assistenza e di volontariato conosciuta come Gay Men’s Health Crisis, fondata nel 1982 in risposta all’esigenza di richiamare l’attenzione su una tragedia di fronte alla quale le istituzioni, e addirittura la Casa Bianca, restarono per tr
oppo tempo cieche e indolenti. Accanto alla figura di Ned si stagliano altri personaggi ai quali Murphy sa attribuire il giusto spazio, proponendo una significativa galleria di ritratti vividi e carichi di umanità: da Felix Turner (Matt Bomer), giornalista del New York Times e amorevole compagno del protagonista, a Bruce Neils (Taylor Kitsch), leader della GMHC, spesso in disaccordo con Ned, dal giovane attivista Tommy Boatwright (Jim Parsons) al più maturo Mickey Marcus (l’eccellente Joe Mantello, già interprete del ruolo di Ned a Broadway), oltre a Ben Weeks (Alfred Molina), il fratello di Ned, al quale sono affidate alcune delle sequenze più commoventi del film. La variegata soundtrack, che include hit intramontabili quali Angel Eyes e More Than This dei Roxy Music, Do You Really Want to Hurt Me dei Culture Club, I Will Survive di Gloria Gaynor, You Make Me Feel di Sylvester e Waiting on a Friend dei Rolling Stones, si chiude emblematicamente sulle note malinconiche di The Only Living Boy in New York, uno dei brani più belli e struggenti del repertorio di Simon & Garfunkel.