TRAMA: Ogni essere umano è sia luce che ombra, ma in alcuni l’oscurità è talmente forte da distruggere anche il confine tra la vita e la morte.
Una città svizzera. Il ponte sul Reuss con i suoi disegni di morte.
Una nobile famiglia di pittori. Un devoto servitore della Nera Signora e la sua vendetta da portare a compimento. Quanto è sottile la linea tra immaginazione e realtà? Può l’amore spezzare una catena fatta di sangue?
«Avete paura di me?»
«Devo averne?»
«Un po’, la paura amplifica ogni sensazione dal dolore al piacere. Lo sentite il piacere? Striscia sotto la vostra pelle, nonostante la voglia di fuggire da questo mostro. Vi eccita tutto questo è nella vostra natura corrotta e perversa.»
Il ponte delle danze macabre è un libro che ho trovato all’inizio molto originale e interessante. L’idea di base riporta parecchio a Il ritratto di Dorian Grey, per cui io ho un debole, con particolare riferimento a concetti come quadri legati a persone (e non dirò di più per evitare spoiler) e una spiccata concentrazione su come i vizi possano far cadere in tentazione e rovinare l’individuo.
Il libro narra infatti la storia dell’ultimo discendente di Ryan Stalder, un signorotto di una famiglia nobile che ha la sventura di inimicarsi l’individuo sbagliato. La maledizione che si abbatte sull’intera stirpe Stalder è implacabile ed è proprio il protagonista del libro che la vivrà sulla sua pelle, come un incubo perverso e inesorabile da cui pare non riuscire a scappare.
Le premesse per tirare fuori qualcosa di inusuale nel mondo MM c’erano, però non posso onestamente dire di aver letto tutto e chiuso l’e-reader con un senso di soddisfazione addosso. Partendo dalle cose più positive, ho apprezzato la caratterizzazione della coppia principale e la diversità quasi opposta dei due personaggi. Mi è piaciuta anche la scelta di parlare di una relazione che va avanti da anni, quindi l’autrice ha potuto approfondire la loro complicità e il loro amore, che poi risulterà un elemento chiave di tutta la storia.
Sono stati però tralasciati, o solo accennati, altri aspetti che mi avevano intrigato, per esempio l’avvicinamento dei nostri eroi quando erano sconosciuti. Uno di loro ha un passato doloroso che di sicuro avrebbe dovuto lasciargli delle cicatrici emotive ma pare tutto un ricordo sbiadito che non ha ripercussioni sul presente. Quasi tutti gli aspetti del libro vengono più raccontati anziché mostrati, si ripetono molto spesso gli stessi concetti, sia nelle descrizioni e perfino nei dialoghi.
L’antagonista, Edward, mi ha affascinata ben poco, perché è un cattivo… cattivo. Con poche sfumature. Non ha motivazioni “grigie” per cui si potrebbe mai simpatizzare con lui e la sua vendetta, passa quasi tutto tempo a monologare su quanto è oscuro, su quanto anche il protagonista principale sia come lui, e per questo mi è risultato un po’ pesante. L’ho apprezzato più nel prologo dove queste erano informazioni nuove e fresche e dove si rapportava a Ryan come un amico subdolo e approfittatore.
Della trama mi sono piaciuti i guizzi di creatività, come il modo in cui è stato usato il ponte nel titolo, o la scelta dei poteri dell’antagonista, un po’ meno il fatto che il protagonista pittore si ribelli molto poco, rivelando una forza di volontà davvero debole. Più volte mi sono sentita frustrata dal suo soccombere di continuo al potere di Edward, un po’ come succede con i protagonisti dei film horror che si ritrovano di continuo nelle stesse situazioni e che non provano a prendere accorgimenti per non finirci, o a parlare con qualcuno.
Stalder di fatto non parla con sconosciuti, non parla con il suo partner (l’uomo di cui in teoria dovrebbe fidarsi di più al mondo) e nemmeno con un banalissimo – ma appropriato per queste situazioni – uomo di fede. Nel complesso è un’opera che aveva del potenziale, ma della quale non mi ha convinto l’esecuzione. Potrebbe risultare interessante per molti lettori, però non mi sento di dare più o meno di una sufficienza piena.