Buongiorno amici e amiche di Tre Libri Sopra il Cielo, nel nostro approfondimento di oggi conosceremo insieme Gia Marie Carangi, una modella statunitense attiva tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta. Nata a Filadelfia nel gennaio 1960, rimase con suo padre e i suoi fratelli dopo il divorzio dei genitori all’età di undici anni e crebbe senza riferimenti familiari e, questo unito alla sua fragilità emotiva, la condussero alla tossicodipendenza.
Gia dichiarò la sua omosessualità in età adolescenziale, infatti era solita corteggiare le sue coetanee con fiori e poesie. Il suo orientamento sessuale fu tuttavia scoperto casualmente dalla madre che trovò la lettera di una ragazza che rigettava i corteggiamenti di Gia. La madre della modella non approvò mai il suo orientamento e questo fece sentire Gia non accettata dalla donna che vedeva come un modello di vita, facendo affiancare al senso di diversità anche una vita sregolata.
Era solita frequentare club e bar gay di Filadelfia e all’età di 15 anni conobbe nel suo locale preferito sito a Center City il suo amore adolescenziale, Sharon, relazione a cui la madre di Gia si opporrà, convinta che il consumo di stupefacenti fosse parte del problema. Costrinse la figlia a sottoporsi ad un test antidroga per cocaina a cui risultò positiva, ma tutti i tentativi della madre di Gia di scalfire la relazione non portarono a nulla.
Scoperta all’età di 17 anni in un locale da un fotografo che la introdusse nell’ambiente della moda, ben presto divenne una delle modelle più richieste e in voga del periodo, grazie alla sua bellezza particolare unita a un carattere ribelle. Wilhelmina Cooper la volle per un colloquio a New York e le offrì un contratto con la Wilhelmina Models, facendole raggiungere in poco tempo la notorietà. Gia si trasferì con la compagna Sharon a New York, vissero insieme per un certo periodo mentre Sharon studiava cosmetica, sognando di diventare una truccatrice.
Nell’ottobre 1978 Gia Carangi posa per il suo primo importante servizio fotografico con il fotografo Chris von Wangenheim, che la fece posare nuda dietro una rete metallica insieme all’assistente truccatrice Sandy Linder, di cui Gia si infatuò immediatamente e che iniziò a corteggiarla divenendo poi la sua amante, sebbene la relazione non divenne mai stabile.
“Ho iniziato a lavorare con gente ben conosciuta nel settore, molto rapidamente. Io non volevo fare la modella. Lo sono diventata col tempo”.
Alla fine del 1978 la Carangi, dopo meno di un anno trascorso a New York, era già una modella ben affermata, posando per molti fotografi di moda come Francesco Scavullo, Arthur Elgort, Richard Avedon, Denis Piel, Marco Glaviano e Chris von Wangenheim. Gia non era una modella come le altre, lei aveva la capacità di posare con naturalezza, senza usare le classiche posizioni “standard” solitamente usate nelle foto di moda dell’epoca; questo era dovuto probabilmente al fatto che la Carangi non ebbe occasione d frequentare dei corsi di formazione per modelle ma tutto ciò che faceva era dettato dal suo innato talento. Lo stesso Francesco Scavullo nel suo libro Women del 1982 la descrive con queste parole: “Non penso mai a lei come una modella, sebbene sia una delle migliori. Il fatto è che lei non si atteggia da modella; non ti dà quello sguardo hot, cool o grazioso; lei spara scintille, non pose”.
Tra il 1979 e il 1982 Gia Carangi conquistò svariate copertine di riviste di moda, tra cui quattro edizioni internazionali di Vogue, Parigi, Uk, America e Italia, e molteplici numeri di Cosmopolitan. Nel corso di questi anni apparì anche in diverse campagne pubblicitarie per case di alta moda, tra cui Armani, Christian Dior, Versace e Yves Saint Laurent.
Conosciuta nei circoli delle modelle solo con il suo primo nome Gia, era solita frequentare lo Studio 54 e il Mudd Club, dove faceva regolarmente uso di cocaina, ma passò all’eroina dopo la morte per carcinoma del polmone della suo agente Wilhelmina Cooper il 1° marzo 1980. Devastata per la perdita e senza un valido punto di riferimento, per Gia sarà l’inizio della sua corsa verso l’abisso. La dipendenza da eroina caratterizzerà gli anni a seguire e la sua tossicodipendenza inizierà presto a influenzare il suo lavoro, tra abbandoni dei set fotografici per procurarsi droghe e l’addormentarsi davanti alla fotocamera. I segni della sua dipendenza erano ben visibili sul suo corpo in particolar modo delle protuberanze rosse nelle pieghe dei gomiti dove iniettava l’eroina. Malgrado un fotoritocco, alcune delle foto pubblicate nel numero di novembre del 1980 di American Vogue immortalarono sulle braccia di Gia i segni ben visibile di un uso assidui di aghi.
Nonostante fossero passati solo un paio di mesi dal suo apice, la carriera della modella era già in rapido declino, le proposte iniziarono a mancare e con esse presto cessarono i contatti con i suoi amici nel mondo della moda tra cui Sandy Linter. Nel 1980 lascia la Wilhelmina Models e firma per la Ford Models che ben presto la mise da parte.
Nel 1981 torna a Filadelfia con la madre e il patrigno e si sottopone al trattamento di disintossicazione di 21 giorni, ma la sua astinenza ebbe vita breve perché poco tempo dopo venne a sapere della morte del suo amico e fotografo di moda Chris von Wangenheim, deceduto in un incidente stradale. Secondo il libro Thing of Beauty di Stephen Fried, che ha curato la biografia della modella, quest’ultima “si chiuse in bagno per ore riempiendosi di eroina”. Venne arrestata nel marzo 1981 a Filadelfia mentre guidava sotto l’effetto di alcol e cocaina e quando venne rilasciata fu per un breve periodo sotto contratto con la Legends, lavorando in maniera sporadica in Europa e in Africa. Ma nell’autunno di questo stesso anno Gia Carangi iniziò a manifestare fisicamente i danni dovuti all’assunzione di eroina.
Gia tentò diverse volte di riconquistare la fiducia nel suo settore, determinata a riprendersi il suo ruolo nella moda, ma ben presto si accorse che nessuno la voleva più ingaggiare. Molti si rifiutarono di lavorare al suo fianco, mentre altri si offrirono di assumerla grazie al suo passato di top model. Uno dei suoi lavori, ma anche l’ultimo di rilievo, fu per Francesco Scavullo che la immortalò nella copertina dell’aprile 1982 di Cosmopolitan, un regalo alla modella da parte del fotografo che più di tutti l’aveva supportata e sostenuta. Questa sarebbe stata la sua ultima copertina, in seguito lavorò principalmente con il fotografo Albert Watson e come testimonial per grandi distribuzioni organizzate e cataloghi. Sean Byrnes, assistente e compagno di Scavullo per più di trent’anni,, ricorderà Gia con queste parole: “Quello che stava facendo a se stessa, alla fine, divenne evidente nelle sue foto. Ho potuto constatare il cambiamento nella sua bellezza. C’era un vuoto nei suoi occhi”.
Nello stesso anno appare nella campagna pubblicitaria per Versace a cura di Richard Avedon che la ingaggiò anche per la successiva campagna pubblicitaria della casa di moda, ma durante il servizio fotografico Gia si sentì a disagio e lasciò il set ancor prima di ottenere una foto utilizzabile. In questo periodo decise di iscriversi a un trattamento ambulatoriale di metadone ma ben presto riprese a fare uso di eroina e lasciò definitivamente New York agli inizi del 1983.
Gia Carangi trascorre gli ultimi tre anni della sua vita con varie amanti, amici e familiari, sia a Filadelfia che ad Atlantic City, ed è proprio in questa città che si stabilirà nel 1984 con la sua compagna Elyssa Golden, morta poi di AIDS nel 1994. La relazione con Elyssa la impegnò più di tutte durante la sua breve vita e sin dai tempi delle copertine era solita correre da lei non appena riusciva a distaccarsi da quell’ambiente della moda e da quella New York che a tratti non amava.
A seguito delle forti pressioni da parte dei familiari e della sua compagna, Gia si fece ricoverare e si sottopose a un intenso programma di trattamento farmacologico all’Eagleville Hospital nel dicembre 1984. Durante il suo ricovero la Carangi esternò il fatto che la moda fosse più uno sbocco per la madre che per se stessa, che le aveva fatto vivere attraverso di sé la vita che avrebbe desiderato. In riabilitazione riuscirono a disintossicarla e attraverso vari colloqui mirati riuscirono a scoprire i soprusi subiti da Gia durante il periodo antecedente al ricovero.
Le violenze subite da parte di spacciatori e tossicodipendenti e i deliri indotti dalla tossicodipendenza la portarono a espropriarsi di qualsiasi bene le appartenesse e a derubare i suoi stessi genitori e alcuni amici. Come parte della terapia disegnò un grande murales in cui raffigurò se stessa intenta a trasportare una grande croce sulle spalle, un occhio piangente, un cuore spezzato, punti di sutura sul cranio al cui centro vi era un grosso punto interrogativo, segni di aghi sulle braccia e sulla zona genitale la figura di una donna ben rappresentata e quella di un maschio dallo sguardo tetro. Accanto alla rappresentazione scrisse: “confusione, odio, separazione, crescita sofferta, abuso sessuale, abuso mentale, impotenza, amore”.
Dopo la disintossicazione lavorò in un negozio di abbigliamento, successivamente trovò impiego come cassiera e poi nella mensa di una casa di cura, ma malgrado i buoni propositi e una ritrovata serenità, alla fine del 1985 riprese a fare uso di droghe. Lasciò la compagna Elyssa e ritornò definitivamente dalla madre. Gia era tormentata anche dal fatto che molti dei suoi amici ed ex colleghi, per lo più omosessuali molto noti in ambiente, erano morti di AIDS, e quindi era consapevole lei stessa di essere a rischio a causa del suo ricorrente utilizzo di eroina per via endovenosa.
Fu ricoverata nel giugno 1986 al Warminster General Hospital di Warminster, in Pennsylvania, dove le fu accertata una polmonite bilaterale. Pochi giorni dopo le fu diagnosticato l’ARC, la sindrome pre-AIDS; solo poche settimane dopo le sue condizioni peggiorarono inesorabilmente e fu trasferita al Hahnemann University Hospital il 18 ottobre.
Gia Carangi morirà di complicanze associate all’AIDS il 18 novembre 1986 alle ore 10 del mattino, all’età di 26 anni, diventando una delle prime donne famose a morire di questa malattia. Il suo funerale si tenne in forma ristretta il 23 novembre in una piccola casa funeraria a Filadelfia e nessuno del mondo della moda era presente, soprattutto perché nessuno seppe della sua morte se non pochi mesi dopo. Tuttavia settimane più tardi, Francesco Scavullo, amico e confidente della Carangi, inviò un’offerta per la celebrazione di una Messa in suo suffragio non appena seppe la notizia.
Dalla sua morte Gia venne considerata una supermodella, ma soprattutto un’icona che impersonò lo stile lesbo chic più di un decennio prima che il termine stesso fosse coniato.
Nel 1998 venne trasmesso su HBO un docu-drama dal titolo Gia – Una donna oltre ogni limite, un film per la televisione diretto da Michael Cristofer con Angelina Jolie, Elizabeth Mitchelle e Faye Dunaway.
La pellicola, che vinse due Golden Globe premiando le interpretazioni della Jolie e della Dunaway, non si basa sulla biografia curata da Stephen Fried, sebbene sia stata in parte usata come base per la sceneggiatura. Infatti il film suscitò il disappunto della famiglia Carangi, di diversi amici e colleghi, secondo i quali il film fornisce un’immagine di Gia completamente estranea alla realtà. Il fratello Joe Jr. in un’intervista telefonica affermò: “Non capisco, dove prendono le informazioni senza parlare con coloro che la conoscevano”.
Anche la zia, a cui Gia era molto legata, si disse dispiaciuta del fatto che la nipote sarebbe stata rappresentata come una fastidiosa mocciosa che commetteva stramberie per attirare l’attenzione, anziché come un individuo complesso ed emotivamente fragile.
“Gia era una donna molto affascinante ed estremamente attraente. Stava solo cercando di essere felice: cercava qualcosa e non l’ha mai trovata”.
FONTI: https://it.wikipedia.org/wiki/Gia_Carangi
https://it.wikipedia.org/wiki/Gia_-_Una_donna_oltre_ogni_limite